di Maria Caravella
Debutta al Teatro Piccinni l’attesissima esclusiva regionale di Non ti pago, una delle commedie più amate di Eduardo De Filippo, riportata in scena in una versione che unisce fedeltà filologica, poesia e slancio interpretativo. È un ritorno carico di memoria: dieci anni dopo la scomparsa di Luca De Filippo, il pubblico ritrova la sua ultima regia attraverso una ripresa curata con devozione da Carolina Rosi, attuale guida della compagnia.
Sin dal primo quadro si percepisce la cura artigianale che contraddistingue il progetto. La scenografia di Gianmaurizio Fercioni ricostruisce una casa popolare napoletana, incorniciata da una tombola con i simboli della smorfia, il tutto con una precisione che non ha nulla d’accademico: la si “sente” viva, respirata, con oggetti, porte, luci e ombre che diventano parte integrante del conflitto drammatico. Le luci di Salvatore Palladino aprono e chiudono varchi emotivi, accompagnando lo spettatore dalle tinte ironiche al chiaroscuro più intimo, mentre le musiche di Nicola Piovani, discrete e al tempo stesso suggestive, scandiscono la tensione tra destino e superstizione, tra ragione e desiderio.

La vera sorpresa è Salvo Ficarra nel ruolo di Ferdinando Quagliuolo. È un’interpretazione di pregio ma inconsueta, è un po’ lontana dal lavoro originario, Ficarra usa poco l’idioma napoletano mentre mantiene il suo inconfondibile accento siciliano, il tutto modulando la voce e i gesti con una precisione emotiva che restituiscono al pubblico un Ferdinando credibile, umano, talvolta teneramente ostinato. Anche se il personaggio Ferdinando -Ficarra si presenta molto lontano da quello eduardiano. Pur mantenendo la vis comica che caratterizza Salvo Ficarra” nelle sue mani il protagonista non diventa mai una macchietta, ma resta un uomo attraversato da un dolore antico, che tenta di barattare la sfortuna con la fede nei numeri del lotto.
Accanto a lui Carolina Rosi, rigorosa e sensibile, ricuce il filo con la tradizione eduardiana senza imitarla: la sua presenza scenica completa l’architettura del racconto, offrendo un contrappunto misurato alla furia visionaria del protagonista.
Il resto della compagnia — Nicola Di Pinto, Mario Porfito, Viola Forestiero, Federica Altamura, Andrea Cioffi, Vincenzo Castellone, Carmen Annibale, Paola Fulciniti, Marcello Romolo — lavora come un organismo unico. Esternando una coralità spontanea: gli ingressi, le dinamiche dei dialoghi, i silenzi e persino i movimenti minimi contribuiscono alla costruzione di una Napoli che non è folklore, ma vita autentica.
Il ritmo è esemplare: la regia di Luca De Filippo, nella ripresa fedelissima di Rosi, evita ogni compiacimento. La comicità esplode al momento giusto, senza mai soffocare la malinconia di fondo. Eduardo lo sapeva bene: Non ti pago è una commedia che ride delle nostre superstizioni e, allo stesso tempo, ci costringe a guardarci allo specchio. Qui il Piccinni diventa una grande sala di famiglia, in cui ognuno riconosce una parte di sé: la fede irrazionale, la paura della povertà, il bisogno di una speranza che non sempre passa per la logica.
Lo spettacolo scorre con naturalezza, tra applausi convinti e momenti di silenzio. Il pubblico, attento e numeroso, accoglie questo ritorno come un dono raro: un ponte tra passato e presente, tra chi ha costruito il Teatro italiano del Novecento e chi oggi ne raccoglie l’eredità per consegnarla a nuove generazioni di spettatori.
In conclusione, Non ti pago al Piccinni non è solo un successo artistico: è un atto d’amore nei confronti di Eduardo, di Luca De Filippo, del Teatro come luogo di memoria condivisa e, soprattutto, del pubblico. È una settimana da non perdere, perché raramente tradizione e vitalità si sposano con tanta naturalezza
