di Maria Caravella
Angelo Duro e il regista Gennaro Nunziante hanno presentato in due sale il film in cui l’attore palermitano debutta in un ruolo da protagonista in “Io sono la fine del mondo”. Forte del buon incasso registrato nel primo giorno di proiezione, nella stessa serata il film è stato proiettato anche all’Anchecinema di Bari, con grande successo di pubblico. La commedia (anzi di commedia non si può proprio parlare perché assolutamente non c’è un lieto fine) racconta con ironia e sarcasmo, il rapporto tra figli e genitori, quando questi ultimi diventatano anziani e fragili.

Il lungometraggio, scritto dagli stessi Nunziante e Duro, è ormai in tutte le sale da giovedì 9 gennaio, distribuito da Vision Distribution. Nel cast del film, recitano anche Giorgio Colangeli, Matilde Piana, Marilù Pipitone (anche lei in sala con Duro e Nunziante per la presentazione del film), Evelyn Maria e Rita Famà.
Angelo il protagonista, fa l’autista. I gestori dei locali di Roma, per non incorrere in sanzioni lo pagano per portar via gli ubriachi. Angelo, li carica in auto e li accompagna a casa. Un lavoro che gli procura lauti guadagni.
Un bel giorno Angelo viene chiamato da sua sorella, che non sentiva ormai da tanti anni, Gli comunica che intende andare in vacanza, ma non può farlo perché deve prendersi cura di mamma e papà. Gli chiede di “darle il cambio” è di rientrare subito a Palermo, ma lui non ci pensa nemmeno. Non vuole proprio andare giù a prendersi cura dei genitori, Quei due rigidi e autoritari che per tutta l’adolescenza sono stati i suoi nemici, che gl hanno imposto cosa fare, cosa mangiare, chi frequentare. Adesso sono diventati anziani e fragili e hanno bisogno di lui. Di primo acchito pensa proprio di non andarci. A mente fredda, però, ci ripensa: “Quando gli ricapiterà più l’occasione di vendicarsii di tutto quello che gli hanno combinato quei due?”. Ed è proprio in quel frangente che inizia il suo divertimento. Peccato però che i suddetti soprusi (qualche mese di collegio o la serata con i nonni) sembrano inezie rispetto alla cattiveria messa in circolo dal protagonista.
È rarissimo che la stampa non veda un film prima dell’uscita (quando accade, il più delle volte è perché il film è estremamente scadente).
Ora però siamo nella sala cinematografica per giunta sold out, con coraggio scegliamo di vedere “Io sono la fine del mondo” consci di affrontare una platea (quella vera) che rumoreggia, si distrae, parla ad alta voce: la cosiddetta pancia del paese, nonché giudice ultimo e insindacabile che decreta il successo o l’insuccesso di un film.
Con noi, un pubblico abbastanza eterogeneo: coppie, ragazzini che sghignazzano più che altro per inerzia e non per convinzione, numerosi adulti e, scorgiamo, nella sala anche le famiglie. Proprio quelle famiglie che lo pseudo comico, prende di mira.
Angelo Duro, i suoi occhiali scuri,
la palese cattiveria diventano sceneggiata scorretta di un umorismo che vorrebbe incidere senza però avere la forza per farlo. La cattiveria, che si fonde con la meschinità, appare fine a se stessa, e asettica nell’insieme di un’opera anti-cinematografica che non ha paura di risultare antipatica calcando il black horror statunitense tanto dilagante, nel tentativo di risultare affascinante, ma troppo fragile per reggere il peso del cinema, inadeguato per sostenere un personaggio quasi estraneo alla sceneggiatura.
A differenza della solidità artistica di altri comici diretti da Nunziante, qui troviamo solo una figura che si muove tra lo sketch e la teoria che non fa nemmeno ridere. Insomma il film di Nunziante (che sceglie sempre molto bene il suo cast, sia tecnico che artistico) propone un “Angelo Duro al massimo”, da amare o detestare senza mezze misure. L’indifferenza qui è per pochi. Poi è ovvio il giudizio ultimo è affidato alla lungimiranza di chi guarda. Si può ridere come non ridere, tuttavia la nostra esperienza testimonia una sala calorosa solo per brevi tratti, in sintesi è stata un’esperienza che probabilmente non rifaremo a breve.
Certo è, che Io sono la fine del mondo (titolo egocentrico tanto quanto la caratterizzazione di Duro è una delle sceneggiature più amare e nichiliste dai tempi di Totò che visse due volte, Una pellicola talmente equidistante dal pubblico (sia quello che lo apprezza sia quello che lo disprezza) da apparire un enorme bluff, un gioco a carte scoperte, che non poteva non finire con un enorme dito medio, che Angelo Duro in sala continua ad utilizzare per salutare il pubblico.
Che dire!
Entri in sala per farti due risate, ne esci imprecando per aver buttato i tuoi soldi. E dire che dalle clip pubblicate su Instagram e TikTok sembrava la pellicola più divertente dell’anno.