Di Maio, il più ricco trombato nella storia repubblicana
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Giovanissimo in politica, ha gestito il suo ruolo dopo aver laboriosamente conquistato il diritto di tribuna al San Paolo di Napoli. È entrato in Parlamento vestendo i panni di Araldo nella gloriosa brigata anti casta. In due legislature una carriera camaleontica. Non è passato giorno in cui non abbia reso concreta l’imperitura legge di Lavoisier: “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma!“. Fino all’ultimo, quando ha tentato il parricidio: l’umano inesorabile istinto di sopravvivenza, lo ha obbligato a rompere le scatole (questa volta non di tonno) a Giuseppe Conte. Trombato di brutto alle ultime elezioni, è corso a Bruxelles a bussare alla porta di Josep Borrell. Gli è bastato dire “mi manda Mario Draghi“, ed ecco aperto il cammino verso una possibile luminosa carriera diplomatica. Missione speciale per conto dell’Unione Europea, nel Golfo Persico: effettivamente lì servono notevoli capacità professionali per contare i barili di greggio che partono per ogni angolo della terra.
Veniamo agli “sghein“. Oltre a quanto gli spetterà ogni mese dalla Repubblica italiana: è stato parlamentare, ministro, vicepresidente della Camera (più o meno il reddito annuo di un impiegato Asl), gli toccherebbe ben altro. Una potente auto blu con targa diplomatica, chauffeur, consulenti e collaboratori ad libitum, ufficio mega galattico a Bruxelles forse con poltrona di pelle umana, carta di credito senza limiti, una valanga di benefit e infine, tanto per gradire, 12.000 € al mese puliti puliti.
L’aveva detto che voleva abolire la(sua) povertà…
L’opus