di Maria Caravella

Scrivere un testo teatrale in vernacolo non è Impresa semplice, di solito chi lo fa sceglie due strade: la prima è quella di utilizzare l’idioma locale, facendo riferimento a quello parlato dal volgo, in tal caso, spesso si tratta di un italiano modificato con la contaminazione di termini provenienti del dialetto puro, altrimenti l’altra via più articolata e impervia presuppone un percorso in cui è necessario addentrarsi a tutto tondo nella storia locale, prendendo in esame gli artifici storico-culturali delle dominazioni straniere che attraverso i secoli si sono avvicendate e attraverso i secoli hanno contaminato il modo di esprimersi e di interagire di un popolo. In questo caso la ricerca diventa più accurata, non si tratta più di esaminare solo parole ma soprattutto di immergersi in un vissuto culturale in cui vocaboli e modi di dire corrispondono ad uno stato d’animo, a situazioni contingenti ma allo stesso tempo universali, capaci di esternare e soprattutto testimoniare l’anima di un popolo.
Questa è sicuramente la strada più difficile da percorrere ed è quella che ha voluto seguire Eugenio D’Attoma nella stesura del testo teatrale “Gestizzie jè fatte” pubblicato postumo e andato in scena con successo al Piccolo Teatro di Bari. In esso si racconta del periodo storico: inizi Novecento e di un processo dove i protagonisti sono chiamati a testimoniare per un’aggressione avvenuta tra due persone. Si tratta di gente del popolo quasi sempre analfabeta, eletta ad interloquire con le autorità colte ed istruite, ma spesso poco propense a comprendere il disagio di questi ultimi. Ovviamente questa vicenda non è altro che il pretesto per utilizzare “testimoni alquanto particolari”, ovviamente provenienti dai vicoli di Bari vecchia. A condire il tutto, le dinamiche del Teatro comico grottesco, che si gioca sull’equivoco e sull’incapacità di comprendersi da parte dei protagonisti. Non solo da parte dei popolani ma anche da parte delle autorità che devono necessariamente comunicare, redigere e trascrivere, utilizzando il registro della lingua italiana. La regia di Maurizio Sarubbi, con destrezza riesce a creare oltre la scena una claque per i testimoni che si avvicendano mano a mano sulla scena, in modo da amplificare le battute più divertenti. Il cast di tutto rispetto e soprattutto molto affiatato, composto da Nietta Tempesta, Enrico Milanesi Amendoni, Maurizio Sarubbi, Roberto Romeo, Susy Rutigliano e Claudio Ciraci, hanno saputo rendere al meglio la messa in scena. Una nota di merito e soprattutto un ringraziamento da parte della città di Bari, va a Nietta Tempesta signora del Teatro, che ormai dai lontani anni Cinquanta, senza mai demordere porta avanti con successo questa sua passione. 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *