La tradizione di consumare carne d’agnello per Pasqua sembra derivare dalla Pesach (Pasqua ebraica), in particolare fa riferimento a quando Dio annunciò al popolo di Israele che lo avrebbe liberato dalla schiavitù in Egitto, spiegando che «In questa notte io passerò attraverso l’Egitto e colpirò a morte ogni primogenito egiziano, sia fra le genti che tra il bestiame»; ordinò così, al popolo d’Israele di marcare le loro porte con del sangue d’agnello in modo che lui fosse in grado riconoscere chi colpire col suo castigo e chi no.  Dunque neppure nelle antiche scritture esistevano menzioni a sacrifici rituali che prevedevano (e giustificavano) l’uccisione di questo animale.

Nel Nuovo Testamento l’agnello assunse tutt’altro significato, fu Giovanni Battista a definire Gesù «l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo», anticipando il ruolo sacrificale del Figlio di Dio per la redenzione dell’intera umanità.

Quanto alla leggenda che il Cristo e gli apostoli possano aver consumato carne di agnello durante l’ultima cena, è lo stesso Papa Benedetto XVI a negarlo in una famosa omelia del 2007. Quindi neppure questo può giustificare l’uccisione di questo animale in prossimità della Pasqua.

Nei secoli però, per le sue naturali caratteristiche di “bianco cucciolo di pecora con meno di un mese di vita”, l’agnello è stato considerato quale ideale simbolo di purezza e mancanza di ogni colpa, dunque perfetta metafora di Gesù che si è immolato in redenzione dei nostri peccati; e, come Gesù, è finito per essere sacrificato, ma sulle nostre tavole.

L’unica vera giustificazione all’uccisione dell’agnello per il pranzo pasquale, poteva aversi in passato nelle regioni dedite alla pastorizia, dove quella era l’unica carne disponibile, da mangiarsi molto raramente in occasione di particolari festività. Oggi però la carne è sempre disponibile e dunque questa “tradizione” non ha più ragion d’essere. (Continua dopo la pubblicità)

Non sono vegetariano e non combatto l’alimentazione con prodotti di origine animale, ma il pensiero della mattanza di questi teneri animaletti, concentrata per giunta in un unico periodo, mi lascia sempre addolorato e, sinceramente, rovina un po’ il mio piacere di festeggiare la Pasqua.

Ho letto casualmente un racconto su Facebook;  anche se non è mio (non ne conosco l’autore, altrimenti lo citerei), lo ripropongo dopo le foto perché particolarmente toccante.

Auguro a tutti i lettori una Pasqua felice.

 

                                                     

 

 

22 GIORNI

Sono nato 22 giorni fa.

Faceva ancora freddo e mi sono rifugiato nella lana calda di mamma.
Lei mi ha leccato sulla testa. I primi giorni li ho passati nel tepore del suo respiro. Era bello chiudere gli occhi e sapere che lei era lì. Attorno a me, altri agnellini e tante altre mamme.

Abito in una grande stalla dove si sente molto il freddo, vedo luci strane, non c’è il sole. (Continua dopo la pubblicità)

Lo spazio è davvero poco, a volte mi chiedo cosa ci sia fuori.

La mamma ha lo sguardo pensieroso. Mi guarda come se dovesse non vedermi più. La sento respirare. La mia mamma è una culla. Mi addormento e faccio bei sogni.

Sogno un prato verde, dove corro e mangio erba fresca. Gioco con i miei amici: tanti animaletti: pulcini, galline e qualche uccellino.

Quando mi sveglio mi ritrovo accanto alla mamma e parlo con lei del futuro: di come mi cresceranno le corna in testa, di quanto sarà folto il mio vello da grande… La mamma sospira.

22 giorni.

Qualche giorno fa sono scomparsi degli agnellini. È tutto talmente strano. Il giorno prima giocavano con me. Perché non sono venuti a salutarmi?
Le loro mamme piangono in un angolo della stalla. Hanno il muso tutto sporco di fieno e non vogliono mangiare. Incrocio lo sguardo di mamma. Mi sta guardando. Ha gli occhi stanchi. Vorrei chiederle qualcosa di questa situazione, ma lei gira la testa.

C’è agitazione fra noi. Tutti bisbigliano, nessuno bela a voce alta.

22 giorni.

Ecco degli esseri strani a due zampe che entrano nella stalla e mi prendono, mi rovesciano a testa in giù e mi tirano su per le zampe. Mi fanno male, cerco di farglielo capire belando, ma quello che mi ha preso mi scuote, dice delle cose in un linguaggio strano, sembra arrabbiato. Cerco mamma con lo sguardo, la trovo, lei sta belando forte. Mi dice che mi vuole bene. Mi dice che non mi dimenticherà. Mamma piange. Mi portano via. Le mani che mi tengono le zampe stringono, fanno male. Vedo che stanno portando via anche altri agnellini. Dove ci portano? Siamo fuori. C’è il sole, ci sono gli alberi, sento gli uccellini. Forse questo significa diventare grandi, avere il vello folto?

Vengo buttato con tanti altri amici in una cassa che si muove, noi non possiamo muoverci, siamo ammucchiati gli uni sugli altri. Poi la cassa si ferma, veniamo spinti in una stanza e qui ci sbattono a terra di nuovo.
Che posto strano! Ci sono dei ganci che pendono dal soffitto e ci sono delle macchie scure sui muri. C’è un odore pungente che mi ricorda il sangue, ma non può essere sangue, sono macchie troppo grandi, Poi quello strano essere che chiamano uomo afferra uno dei miei amici agnellini per le zampe, lo lega al gancio, fa lo stesso anche con l’altro, poi è il mio turno. Mi divincolo, ho paura, voglio la mamma, ma quelle braccia sono troppo forti e lo vedo, l’uomo, lo vedo mentre belo e piango a testa in giù, lo vedo che prende un oggetto da un tavolino, si avvicina a me, mi prende per la testa, me la solleva e l’ultima cosa che ricordo, prima che tutto diventi scuro, è che quando sono nato ed ho cercato di mettermi in piedi sulle zampe il muso di mamma era lì, a sostenermi, ed io ho pensato che ci sarebbe stato tutta la vita, invece solo 22 giorni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *