di Maria Caravella

Pochi dai campi di sterminio ne uscirono vivi, si possono contare sul palmo di una sola mano. Tra questi possiamo ricordare Savina Rupel, nata a Prosecco, in provincia di Trieste nel 1919, da una famiglia slovena di umili origini. Orfana di madre poco più che bambina, Savina per integrare il misero reddito familiare è costretta a percorrere, ogni giorno, all’alba, 10 km a piedi per raggiungere Trieste e recarsi in una piazzetta a vendere fiori, con il carretto, che era stato di sua madre. Fin da allora viene derisa e umiliata dai fascisti perché parla in lingua slovena. Si fidanza, con un giovane partigiano. Fiera e coraggiosa per difenderlo viene arrestata al suo posto, proprio alla vigilia delle sue nozze e in attesa di un bambino. Sarà deportata nel lager femminile di Ravensbruck, in Germania. In quel luogo privo di speranze nasce suo figlio Danilo Il piccolo assiderato e denutrito muore, dopo qualche giorno. La Rupel diviene come tutte le altre detenute, un numero contraddistinto da un triangolo rosso, cucito sulla casacca,che identificava i prigionieri politici. Quel numero era presagio di morte, e intendeva spersonalizzare chi lo indossava, destinato per gli aguzzini a morte certa. Savina però riuscirà a sfidare la sorte, rilasciata insieme ad altre donne, la notte tra il 24 e il 25 aprile 1945, per essere usate come ostaggi o bersagli umani e coprire la fuga ai nazisti; camminò, incessantemente, per giorni e giorni, prima per evitare di essere fucilata, poi per tornare a casa, dove pensava di riabbracciare l’uomo che amava, ma così non fu, quell’uomo ingrato non l’aveva aspettata e aveva preferito un’altra donna. Savina nonostante tutto riuscirà a trovare l’amore e a diventare nuovamente madre. Una bella storia, da non dimenticare, riscritta, da Anna Maria Damato, che sul palcoscenico interpreta Savina Rupel. Una donna dalla grande forza e determinazione che per tutti i giorni della prigionia si era ripetuta sempre “mi devo tornar”, un esempio per le generazioni future. Savina Rupel, deceduta nel 2011, apparteneva, come Primo Levi e Liliana Segre alla categoria dei “salvati”, a coloro che, nonostante tutto, riuscirono a farcela con coraggio, speranza e un pizzico di fortuna.

Una messinscena di grande impatto emotivo, che si conclude con l’ultima testimonianza della Rupel in una intervista alla televisione. La messinscena ha saputo trasmettere al pubblico tutta la profondità e il vigore dell’animo senza tempo di questa grande donna, grazie ad un cast ben affiatato, composto da: Aldo Fornarelli, Cristina Angiuli, Felice Alloggio, Anna Maria Damato, Monica Angiuli e la voce fuori campo di Lino De Venuto, alla regia intensa e incisiva di Monica Angiuli e alla talentuosa interpretazione delle figure femminili. Le sorelle Angiuli, hanno dedicato questa pièce al papà Luigi nel quarto anniversario della sua scomparsa. Attore di grande talento e intellettuale di largo pregio.

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